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Il meglio del peggio di Venezia 71

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di Marcello Bonini

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N.B: Contiene spoiler.
E l’autore dell’articolo prende le distanze da qualunque opinione espressa nello stesso.

A PIGEON SAT ON A BRANCH REFLECTING ON EXISTENCE di Roy Andersson: una commedia divertentissima, come solo gli svedesi sanno farle. Tipo Bergman.

METAMORPHOSES di Christophe Honoré: Zeus è un camionista che se la fa con una bimbetta bruttina, che gli preferisce un Bacco coatto prima, e un Morfeo che predica nelle periferie parigine poi. In mezzo un sacco di nudi con la scusa dei classici. Fare un film tratto dalle Metamorfosi di Ovidio è impossibile, e non è che proprio si sentisse il bisogno di un film che lo dimostrasse.

LA VITA OSCENA di Renato De Maria: la battuta sul titolo è talmente scontata che manco la faccio. Il film è un videoclip ispirato al diario di un emo tredicenne, che invece di tagliarsi lui taglia la coca. Quando il protagonista ha detto: «Quella notte mi sarei suicidato», il pubblico ha esclamato: «Era ora!». Purtroppo poi non lo ha fatto e il film è andato avanti.

NOBI di Shinya Tsukamoto: esilarante splatter sui soldati giapponesi abbandonati nelle Filippine durante la seconda guerra mondiale, con arti mozzati che volano al rallenty di qua e di là e non riesci più a smettere di ridere. Sarebbe un film drammatico, eh, ma son dettagli.

MANGLEHORN di David Gordon Green: Al Pacino è smarrito nel ricordo di un’amante perduta, ma Holly Hunter lo salva. E… basta. Tutto il resto è un completissimo catalogo dei cliché cinematografici: lettere d’amore lette fuori campo, rallenty, sovrapposizioni e persino un gatto malato che fa sempre tenerezza.

3 COEURS di Benoît Jacquot: la musica de Lo squalo annuncia l’arrivo di Charlotte Gainsbourg, ma la speranza che il pescecane salti fuori dalla Senna e si divori tutto il cast è vana e tocca sorbirsi due ore di intrecci sentimentali appassionanti come una soap opera brasiliana, e nemmeno delle migliori.

PASOLINI di Abel Ferrara: Pasolini prima parla in inglese, poi incontra dei personaggi che parlano in italiano ed inizia a parlare in italiano con forte accento americano, finché i personaggi che parlavano in italiano non si mettono a parlare in inglese con forte accento italiano e lui riprende a parlare in inglese. Dafoe è tanto bravo, ma Massimo Ranieri avrebbe reso di più.

ARANCE E MARTELLO di Diego Bianchi: Zoro gira una web-series, ma gli viene troppo lunga e la spaccia per un film e tutti ci credono.

NEAR DEATH EXPERIENCE di Benoît Delépine e Gustave Kervern: girato con la videocamerina presa coi punti Coop, racconta di un uomo bruttissimo che vuole suicidarsi nei boschi ma non lo fa. Poi si suicida buttandosi da una macchina. Nel mezzo passeggia, pensa a quanto è brutto, passeggia, canta i Black Sabbath, passeggia, gioca a biglie, passeggia, chiacchiera con l’endorfina (sic) e passeggia.

IL GIOVANE FAVOLOSO di Mario Martone: Bignami su Leopardi, nella forma di miniserie RAI, con tanto di velina nei panni di Silvia, che per fortuna muore subito*. La trama: il povero Elio Germano diventa sempre più gobbo schiacciato dal peso del film.
*Per onor di cronaca Gloria Ghergo in realtà non è nemmeno un’attrice, ma una studentessa di infermieristica trovata a Recanati da Martone, e non è manco andata a Venezia perché in missione umanitaria in Burundi. Quindi, ironia a parte, gode della mia stima. La si scherza solo perché è bella.

CHUANGRU ZHE (RED AMNESIA) di Wang Xiaoshuai: la protagonista è simpatica come un involtino primavera scaduto. E alla fine scopriamo che è pure un’infame. Prima della proiezione allarme bomba in sala, ma purtroppo era solo una borsa abbandonata.

THE SOUND AND THE FURY di James Franco: il peggior Terrence Malick di To the wonder e il miglior Ben Stiller di Simple Jack. Franco voleva fare come tutte le star di Hollywood e accettare la parte difficile interpretando un handicappato, ma siccome non è che poi sia tutto questo grande attore e nessuno glielo ha proposto, ha fatto da solo. Quindi ogni volta che entra in campo urla, grugnisce e sbava, mentre la sua vocina interiore ha perso il copione e ripete la stessa frase qualche dozzina di volte. È il suo sesto film da regista quest’anno, e i risultati si vedono. Forse sedarlo aiuterebbe.

THE LACK di Masbedo: mettici donne che piangono, rallenty e suoni ovattati e c’hai il film artistico. O forse no.



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